Diritti e doveri culturali: uno strumento per il rispetto delle diversità. La situazione femminile in Iran

di Monica Amari

Questo contributo, presentato in occasione della conferenza Saluterò di nuovo il Sole all’Università di Milano il 27 maggio 2027,  vuole leggere la situazione drammatica che le donne in Iran stanno vivendo alla luce di un mancato riconoscimento dell’esistenza dei diritti e dei doveri culturali e si posiziona nell’ambito di una riflessione sull’importanza della tutela dei diritti umani e di una più ampia argomentazione della disuguaglianza di genere. Chiedere il riconoscimento  dei diritti e dei doveri culturali può inserirsi all’interno di quella critica femminista che ha compreso come la parola uguaglianza non sia sufficiente a restituire la complessità di un sistema i cui codici – e nulla è così vero come in Iran dove l’obbligo del velo è espressione di un principio di diseguaglianza – sono stati scritti da uomini e portano con sé una visione patriarcale della vita. Ma non solo. Oltre ad essere una critica al patriarcato e alla sua concezione del potere, la lotta contro l’attuale classe dirigente da parte delle giovani e dei giovani iraniani sottolinea l’importanza di tematiche quali la negazione della leadership femminile, l’importanza della formazione personale per acquisire consapevolezza dei propri diritti, l’importanza del modello della reti, la mappatura e il governo degli squilibri all’interno di un quadro internazionale.

L’ipotesi è che il denominatore comune di queste disuguaglianze sia il mancato riconoscimento come diritti oggettivi dei diritti culturali i quali, avendo come presupposto il rispetto della diversità, hanno come primo obiettivo la tutela della identità culturale degli individui.

Emblematico  appare in Iran il caso dell’obbligatorietà del velo per le donne che sono costrette ad indossarlo  anche contro la propria volontà e a rischio della propria vita in un totale disprezzo del diritto ad esprimere la propria diversità che, in questo caso specifico, si caratterizza con il diritto alla laicità. Un diritto che comporta, in modo legittimo, la mancata accettazione dell’esistenza di uno Stato iraniano fondato su basi teocratiche che non considera il confronto e l’esistenza di visioni e punti di vista differenti ma che al contrario porta il potere ad esprimersi con mezzi violenti e brutali come testimonia l’esistenza di una violenta e sanguinaria dittatura..

Prima di addentrarsi in modo specifico all’interno di un’argomentazione, basata sul riconoscimento dei diritti e doveri culturali come diritti oggettivi, ossia inseriti in modo esplicito all’interno del corpus normativo e capaci di dare risalto all’individuo-persona nella sua soggettività e diversità culturale, occorre premettere che i diritti culturali sono nominati per la prima volta all’interno della Dichiarazione Universale sui diritti umani del 1948.

Recita l’art 22 della Dichiarazione, Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.

I diritti culturali, però, all’epoca non vennero recepiti all’interno delle Carte costituzionali e del sistema normativo dei paesi occidentali come diritti oggettivi provocando la mancanza di un diritto soggettivo. Se, difatti, il diritto oggettivo viene definito come l’insieme di norme giuridiche che disciplinano le relazioni di un gruppo organizzato di persone ed è distinto in diritto pubblico e diritto privato, il diritto soggettivo è il potere di agire di un soggetto a tutela di un proprio interesse riconosciuto dall’ordinamento giuridico nei confronti di altri soggetti.

Paradigmatico appare il caso della Costituzione italiana. Una prima riflessione obbliga a constatare come la dimensione culturale non è presente lì dove la regolazione dei diritti e doveri è stata ripartita in quattro titoli: Rapporti civili, Rapporti etico-sociali, Rapporti economici, Rapporti politici. Non è presente, in modo esplicito, nemmeno nei principi fondamentali che sono espressi nei primi dodici articoli del testo costituzionale, e in modo specifico negli articoli 2 e 3 della Costituzione che parlano della dimensione economica e sociale senza citare quella culturale, non dando, come si è già detto, risalto all’individuo-persona nella sua soggettività culturale, Il non avere tenuto conto della categoria “culturale” oggi appare riduttivo rispetto all’obiettivo di “società giusta”, che le società democratiche si prefiggono di raggiungere. E ciò stride ancora di più in quanto i principi della Carta costituzionale fungono da criteri guida a cui i poteri pubblici devono conformarsi: e possano quindi essere considerate norme che vincolano sia il legislatore sia i giudici. Vi è infatti un nesso forte tra la realizzazione della società giusta e la supremazia dei principi fondamentali o costituzionali. Lo sottolinea Maurizio Fioravanti che aggiunge: «Si realizza la prima facendo valere i secondi. Si realizzano questi ultimi costruendo in concreto quella medesima società. E in effetti le costituenti del Novecento lasceranno in eredità ai processi di attuazione della Costituzione la questione centrale della forza normativa di quei principi costituzionali[1]».

Ritornando in modo più specifico al tema dei diritti culturali per poterli identificare e per poterne capire l’importanza occorre fare riferimento alla Dichiarazione di Friburgo. Presentata ufficialmente, in collaborazione con l’UNESCO, al Palazzo delle Nazioni a Ginevra, nel 2007, la Dichiarazione di Friburgo dal titolo I diritti culturali accomuna in unico complesso di disposizioni i diritti culturali previsti dai differenti strumenti di diritto internazionale. Non bisogna sottovalutare l’importanza della dimensione internazionale in quanto le disposizioni e i documenti elaborati sono ampiamente condivisi dalla comunità internazionale, nel suo insieme, al di là di specifiche ideologie o credi e dei confini di ciascun Stato. Composta da dodici articoli, la Dichiarazione di Friburgo riunisce in unico corpus i vari diritti culturali ed in primis il diritto dell’individuo all’identità culturale che viene definita «l’insieme dei riferimenti culturali con il quale una persona, sola o in comune, si definisce, si costituisce, comunica e intende essere riconosciuta nella propria dignità» la quale a sua volta è il diritto dovere di essere riconosciuti dagli altri e di riconoscere gli altri. In una società contemporanea caratterizzata dalla crescente importanza della conoscenza, l’identità culturale gioca un ruolo chiave ed è connessa al concetto di diversità culturale.

Yvonne Donders, in Towards a Right to Cultural Identity, sintetizza la questione in questi termini[2]: «L’identità culturale può essere considerata come la personificazione della cultura. Al pari della cultura, l’identità culturale non è statica ed omogenea, ma dinamica ed eterogenea. Include numerosi aspetti, come le arti, la letteratura, la religione, il patrimonio culturale, l’educazione, ma anche usi, tradizioni, costumi e istituzioni. L’identità culturale concerne principalmente il modo con cui questi aspetti sono percepiti dagli individui e dalle comunità. L’identità culturale è importante per gli individui e per le comunità, perché dà loro il senso di appartenenza e, come tale, ha a che fare con la dignità umana. Il concetto di appartenenza è molto importante, perché dà agli individui un senso di integrità personale e la sensazione che possono esprimere se stessi ed essere riconosciuti».

Ogni persona, sola o in comune, ha diritto di scegliere e di vedere rispettata la propria identità culturale, nella diversità dei propri modi di espressione, e questo diritto si esercita particolare in relazione con la libertà di pensiero, di coscienza, di religione, di opinione e di espressione. Peraltro la mancanza di rispetto per l’identità culturale potrebbe essere considerata un violazione dell’integrità dell’essere umano al punto da rendere impossibile la fruizione di tutti gli altri diritti umani[3].

Il secolo scorso è stato caratterizzato da una politica a matrice sociale dominata dalla contrapposizione destra-sinistra, dove la sinistra chiedeva una più incisiva redistribuzione economica e migliori protezioni sociali e la destra maggiori libertà all’interno di un quadro in cui l’influenza del governo si sarebbe dovuta limitare a promuovere il settore privato. In questi ultimi vent’anni, invece, l’attività politica sembra non potere prescindere dal concetto di identità. Identità è un termine che, declinato al plurale, può indicare realtà straordinariamente diverse a seconda del denominatore scelto per caratterizzarla. Quando la trasformazione di un modello di società viene accompagnato da episodi anche violenti, come è accaduto in Iran questi ultimi anni, significa che si è di fronte ad un conflitto generato dalla percezione che l’identità dei singoli individui non viene riconosciuta come dovrebbe. Se si percepisce che la propria dignità viene calpestata dal mondo esterno a sé, le regole e le norme sociali diventano impossibili da sopportare. «L’identità sorge, in primo luogo, da una distinzione tra il proprio autentico io interiore e un mondo esterno di regole e norme sociali che non riconoscono adeguatamente il valore e la dignità dell’io interiore. In tutto il corso della storia umana gli individui si sono trovati in contrasto le loro società. Ma solo in tempi moderni si è consolidata l’idea che l’autentico io interiore sia intrinsecamente prezioso e la società esterna sistematicamente in errore e ingiusta nella sua valutazione di questo elemento. Non è l’io interiore che deve conformarsi alle regole ma è la società stessa a dover cambiare[4]», sottolinea il politologo statunitense Francis Fukuyama.

Il successo dei social, più generalisti, come Facebook, Instagram, Twitter o lo stesso Linkedin (limitato a fruitori operativi sul piano professionale),  nasce dalla capacità di essere strumenti di aggregazione, in grado di creare comunità. Sbaglia chi crede che il desiderio di appartenere a questi gruppi sia basato dalla spinta all’assimilazione. Ciò che accade è esattamente il contrario: appartenere a queste comunità significa potere avere la possibilità di manifestare la propria diversità culturale, considerata il presupposto su cui si potere fondare la propria identità culturale.

Viene, perciò, da chiedersi cosa fa girare il mondo di fronte alla brutalità del regime iraniano che dimostra di essere quantomeno anacronistico considerando che La servitù delle donne di John Stuart Mill, in cui la disparità dei sessi considerata un fatto naturale ed incontrovertibile veniva demolita a colpi di ragionamenti ed argomentazioni,  fu scritto nel 1869, due anni dopo che lo stesso deputato al parlamento inglese aveva modificato il Reform Act grazie a un emendamento che sostituendo il termine ”uomo” con quello di “persona”, avrebbe permesso successivamente  di estendere il diritto di voto alle donne.

Lo spirito della modernità, contrariamente al modo classico e a quello medievale, si contraddistingue per la sua propensione all’accrescimento e ricerca delle potenzialità individuali e di conseguenza al progresso dell’intera società. Motivo per cui se oggi, nella società della conoscenza l’identità venisse messa in relazione anche con una dimensione culturale, come peraltro continua a suggerire Dante con le sue celeberrime terzine, Fatti non fosti per viver come bruti/ma per seguire virtute e canoscenza (Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI, vv.118-120), sarebbe un modo di ricordarci come  l’uso della ragione incentiva lo sviluppo delle virtù morali. Potrebbe anche  sottolineare l’importanza di tutelare l’essenza razionale e spirituale dell’essere umano per non cadere nel baratro dell’ignoranza e della violenza.

Come sottolinea Azar Nafisi in “Leggere pericolosamente”  «Il punto, …, è che totalitarismo e democrazia non sono caratteristiche di un paese o di una nazione particolari» ricordando che «Lottare per la libertà di scelta e di associazione, fra tutte le libertà possibili, non è una prerogativa occidentale ma un bisogno umano». E le sue parole vogliono descrivere, a forma di monito, ciò che è avvenuto in passato ciò che potrà avvenire anche nel futuro. « E’ proprio grazie alla storia delle lotte femminili per il raggiungimento e la difesa dei loro diritti se le donne sono state in grado di opporsi al regime islamico e di rifiutarsi di rinunciare alle loro faticose conquiste. A noi sembravano cose assolutamente normali, come se fosse sempre stato così, come se intere generazioni di donne, già prima di mia nonna, non avessero dovuto lottare per ottenerli, quei diritti, come se i risultati pagati a prezzo di tanta sofferenza e sacrificio fossero nostri per sempre, e non potessero mai più venirci sottratti…. Ogni nuova generazione nata tra i privilegi ottenuti grazie all’impegno strenuo delle generazioni precedenti tende a dare la propria condizione per scontata, non avendo mai dovuto sudare per conquistarla. »[5].

Ed è per questo che oggi, in Italia, il Movimento per il riconoscimento dei diritti e dei doveri culturali, costituito nel 2023, si pone come obiettivo il riconoscimento dei diritti e dei doveri culturali come diritti oggettivi per offrire alla collettività uno strumento per la sopravvivenza della democrazia al fine si sviluppare maggiormente all’interno della società uno spirito critico. Lo fa chiedendo di modificare l’articolo 2 quando tratta di doveri e di solidarietà inserendo la parola/dimensione culturale lì dove si dice – La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale e culturale.E nell’articolo 3, al secondo comma, quando tratta di rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini e di allargare il concetto di organizzazione del Paese. Anche qui si tratta di aggiungere la parola “culturale”: « E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica, sociale e culturale del Paese.».

L’ipotesi è che una maggiore coscienza e rispetto nei confronti dei diritti e dei doveri culturali da parte della collettività nelle sue componenti più varie- istituzioni, imprese, società civile – possa portare alla costruzione di un modello di società maggiormente riflessiva e capace di affrontare le complessità determinate dalla dimensione globale e possa influire positivamente anche all’interno del contesto internazionale in generale e in quello iraniano in particolare. Le motivazioni le offre ancora una volta Azir Nafisi a chiusa del suo libro «Mia cara lettrice, mio caro lettore  in un mondo reso opaco dalla conflittualità e dalle guerre dove i nemici possono arrivare ad occupare la nostra mente e il nostro cuore più di quanto non riescano a fare gli amici, dove la menzogna si maschera da verità, abbiamo più che mai bisogno dei chiari occhi dell’immaginazione per scorgere la realtà dietro e oltre l’apparenza. Perciò sebbene cerchi sempre di evitarli ho deciso di chiudere questo libro con uno slogan: lettore di tutto il mondo unitevi.»[6].

Traslando l’esortazione della scrittrice iraniana tutti coloro che credono che la cultura sia necessaria per la costruzione della propria identità e a difesa della propria diversità e delle proprie libertà sono invitati ad unirsi per il riconoscimento dei diritti e dei doveri culturali all’interno delle Carte Costituzionali nazionali. E’ un’esortazione a un plagio globale condivisibile.

 

[1] Maurizio Fioravanti, Costituzione italiana: art.2, Carocci, Roma 2017, p.76.

[2] Y. Donders, Towards a Right to Cultural Identity?, Intersentia, Antwerpen 2002, p. 30.

[3] Y. Donders, op.cit., p. 76.

[4] F. Fukuyama, Identità, la ricerca della identità e i nuovi populismi, UTET, Torino 2019, pp. 23-24.

[5] A. Nafisi, Leggere pericolosamente, Adelphi, Milano 2024, p. 137.

[6] A. Nafii, op.cit., p.200.