A Martina Franca si promuove la democrazia

Patrocinata dall’Amministrazione di Martina Franca per il tramite dell’Assessorato alle Attività culturali si è svolta martedì 7 maggio 2025, a Palazzo Ducale, la presentazione del libro “Elogio dei diritti e dei doveri culturali. A difesa della democrazia” (Rubbettino editore). Come ha evidenziato l’assessore Carlo Dilonardo l’iniziativa «rientra nelle iniziative di valorizzazione e promozione della cultura in tutte le sue forme, attraverso il ventaglio di possibilità che essa può offrire alle nuove generazioni e alle comunità». E l’assessore all’ascolto Angelo Gianfrate ha ribadito la disponibilità dell’amministrazione comunale nei confronti della cultura come dimostra il pluriennale successo del Festival della Valle d’Itria. Il libro è stato presentato dalla dott.ssa Luisa Motolese, presidente di sezione della Corte dei Conti, che nel sottolineare come «i contributi all’analisi e alla ricostruzione dei diritti culturali hanno fino ad ora occupato uno spazio minuscolo nel vasto panorama della letteratura dei diritti umani, sviluppati in maniera non adeguata e piuttosto problematici come categoria (così Francesco Francioni)» ha analizzato perché il libro« colma questo grosso vuoto ed ha il pregio di compiere un’operazione sistematica con una proposta finale estrema di riconoscimento formale in costituzionale». Dopo la presentazione l’autrice ha dialogato con Rosa Maria Messia, referente cittadina dei Presidii del Libro.

Di seguito l’intervento e la presentazione di Luisa Motolese, presidente di Sezione della Corte dei Conti

Segnalo il libro di Monica Amari “Elogio dei diritti e doveri culturali.” All’ uscita del libro si accompagna la nascita contestuale del Movimento dei diritti e doveri culturali   il cui obiettivo fondante è proprio il rafforzamento della dimensione culturale in Costituzione.Comporre un libro è uno sforzo notevole, richiede impegno, sacrificio e dedizione. E questo è tanto più vero per quel che concerne la tematica dei diritti culturali. I contributi all’ analisi ed alla ricostruzione dei diritti culturali hanno fino ad ora occupato uno spazio minuscolo nel vasto panorama della letteratura dei diritti umani, sviluppati in maniera non adeguata e piuttosto problematici come categoria (così Francesco Francioni).

Il libro di Monica Amari colma questo grosso vuoto ed ha il pregio di compiere una operazione sistematica con una proposta finale estrema di riconoscimento formale in Costituzione.Il punto di partenza è che i diritti culturali   pur appartenendo alla famiglia dei diritti umani stentano ad essere identificati come categoria autonoma, e non sono menzionati nelle costituzioni europee inclusa quella italiana. Qualcuno li ha definiti i diritti cenerentola (Famiglietti), i parenti poveri dei diritti umani.Il filo conduttore nel libro è quindi la ricerca della motivazione di questa disattenzione attraverso una ricostruzione storica e giuridica   che partendo dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 giunge, dopo circa 60 anni, alla Dichiarazione di Friburgo del 2007 ed alla Convenzione di   di Faro del 2020. Il processo storico così nitidamente tracciato   permette al lettore di comprendere in maniera agevole tutta l’evoluzione iniziando proprio dall’art.22 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, che individua i diritti culturali come categoria autonoma dei diritti umani, accomunandoli ai diritti economici e sociali. Il momento incisivo e di chiusura è rappresentato dalla Dichiarazione di Friburgo. La Dichiarazione, composta da 12 articoli, riconosce l’identità culturale definita come l’insieme dei riferimenti culturali con i quali una persona, sola od in comunità si costituisce, comunica ed intende essere riconosciuta nella propria dignità.Uno dei tanti pregi del libro, rendendo così comprensibile la lunga marcia dei diritti culturali (questo il titolo del capitolo 5), è stato proprio quello di aver affrontato l’aspetto della mancata definizione di questi diritti ricercandone le cause   con ricorso a fonti   ampie ed autorevoli e pervenire alla formulazione di risposte concrete. Si parte dalla funzione e dal ruolo dell’Unesco nell’immediato dopoguerra, subito dopo la sua istituzione avvenuta nel 1945 con 20 paesi membri.

Sarà proprio l’Unesco ad associare in modo specifico la dignità alla cultura, all’ educazione ed alla scienza. Nel preambolo del suo atto costitutivo si può leggere “le guerre iniziano nella mente degli uomini ed è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace poiché l’incomprensione reciproca tra i popoli è sempre stata, nel corso della storia, all’origine del sospetto e della diffidenza. La dignità dell’uomo esige la diffusione della cultura e dell’educazione”.

L’Amari bene rappresenta come l’Unesco diventato negli anni il più importante attore politico   a livello internazionale in ambito culturale   collegherà il tema della dignità alla dimensione culturale, ma non senza essere stato costretto a superare numerose difficoltà nel convincere gli stati nazionali a riconoscere l’importanza della cultura e dell’educazione nell’ affermazione della dignità degli individui. Il primo direttore generale dell’UNESCO, Julien Huxley, un biologo evoluzionista inglese nipote di Thomas, amico e mecenate di Charles Darwin, e fratello di Aldous- insigne letterato- nel delineare le linee strategiche della nuova organizzazione internazionale ricorderà come sia necessario fare acquisire dignità ai popoli ed agli individui attraverso la potenzialità rivoluzionaria della cultura e della educazione. Nel primo documento programmatico UNESCO “ITS PROPOSE and ITS PHILOSOPHY”, Huxley trasla, applicandolo all’ ambito delle scienze umane, l’approccio evoluzionista utilizzato nei propri studi scientifici ed analizza il ruolo della cultura inquadrandola all’ interno di un processo evolutivo. Sottolinea la necessità di considerare le diversità culturali come facce di una stessa medaglia al fine di mantenere la pace, una preoccupazione reale in quel periodo, la fine della Seconda guerra mondiale in cui già si stava profilando la guerra fredda tra due vincitori, gli Stati Uniti e l’Unione sovietica. Occorre- sosteneva Huxley- tendere ad un umanesimo di tipo evolutivo. Occorre quindi superare le contrapposizioni riconoscendo le diversità degli stili di vita, di concezioni politiche, dei modi di concepire l’arte, di interpretare le libertà umane. (così anche Spengler)

Le considerazioni di Huxley trovarono una forte opposizione tra gli stati fondatori soprattutto gli Stati Uniti per i quali l’Unesco doveva essere uno strumento per imporre la cultura la visione ed i valori dei Paesi usciti vincitori dalla guerra. Questa opposizione non rientrò, tanto che Huxley fu costretto alle dimissioni nel 1948, ad appena due anni di distanza dalla nomina di direttore generale. Il suo allontanamento ebbe come immediata conseguenza l’abbandono di una visione di ricomposizione -oggi accettazione-delle diversità culturali ed influì probabilmente sulla mancata definizione e di un conseguente catalogo dei diritti culturali all’ interno della Dichiarazione Universale.

In questo modo attraverso questa ricostruzione puntuale quanto sofferta ci viene fornita la spiegazione di questa omissione e del perché dovessero passare tanti anni per accettare le diversità culturali come una risorsa per l’umanità in quanto collegata al tema della dignità.

Alla voce Julian   Huxley in Wikipedia c’è scritto che Huxley fu il primo Direttore Generale dell’Unesco «come riconoscimento per il suo impegno sociale nel miglioramento dell’educazione a livello internazionale per i risultati ottenuti con la PEP nello sviluppo culturale.  La carriera come Presidente durò solo due anni, invece dei sei canonici e nel 1948 Julian venne espulso per motivi non ancora chiari. Certamente le sue idee politiche e la sua concezione scientifica e filosofica di Umanesimo si opponevano alle idee conservatrici di molti membri del Governo.».

Ma dal 1948 molte cose sono cambiate ed ora ci si interroga seriamente se sia giunto il tempo di riconoscere questi diritti, i diritti della dignità e della identità, non più parenti poveri dei diritti umani ed a difesa della democrazia.

Amari rappresenta che stiamo vivendo un momento di forte transizione politica economica sociale e culturale ed il riconoscimento formale in Costituzione della dimensione culturale può avere la stessa forza emotiva e lo stesso impatto di quando è stato riconosciuto ed applicato il principio di sovranità popolare. Nella società contemporanea si chiede che venga riconosciuta l’importanza delle funzioni cognitive e dell’apprendimento per il benessere psico-fisico-individuale. In questo modo la cultura smette di costituire un puro ornamento e   diventa fondante per un costituzionalismo culturale. Le motivazioni di questo cambiamento si possono ritrovare, per Amari, proprio nell’ evoluzione del concetto di cultura, che trova il presupposto nel pensiero di Spengler prima e di Huxley dopo.

Peraltro, l’attenzione per una dimensione culturale si era già manifestata in un testo approvato l’11 settembre 1946 dalla prima sottocommissione dell’Assemblea costituente, ma non ratificato in via definitivo.La dimensione culturale in Costituzione, artt.9,33,34 è slegata dalla dimensione individuale, non considerata in quanto ritenuta una sfera insondabile e sfuggenteSolo pensando ad un paese fondato sul sapere, sulla conoscenza, sulla ricerca e sul merito si garantisce la libertà e la democrazia. Questo è il messaggio forte di Monica Amari e certamente il testo può costituire momento di dibattito costruttivo.Elogio dei diritti e doveri culturali ha una struttura logica, chiara, con obiettivi precisi, adoperando parole giuste e trasmette il messaggio in maniera fluida rendendo accessibili argomentazioni complesse.E concludo con una citazione di Roberto Bolano, scrittore cileno per esortare a conoscere il libro  di Monica Amari: «Leggere è come pensare, come pregare, come parlare con un amico, come esporre le tue idee, come ascoltare le idee degli altri, come ascoltare musica, come contemplare un paesaggio, come uscire a fare una passeggiata sulla spiaggia».